Alessio Strambini

L'Homo Selvadego e la sua figura nella mitologia alpina

L'Homo Selvadego: un essere antropomorfo ma con il corpo ricoperto di peli, i capelli e la barba lunga, provvisto come arma di offesa e difesa di un nodoso bastone



Salendo dalla cittadina di Morbegno verso la Val Gerola si incontra il paesino di Sacco (frazione di Cosio Valtellino): lasciata l’auto nella piazza della chiesa si seguono le indicazioni per via Pirondini e a breve si arriva alla Casa dell’Homo Selvadego, dove si trova l’affresco meglio conservato di questo essere antropomorfo variamente raffigurato in diverse zone delle Alpi. Nella camera picta al primo piano (un tempo probabilmente studio notarile, poi usata come fienile e infine recuperata dalla Comunità montana di Morbegno) si trovano diversi affreschi tra cui una deposizione di Cristo dalla croce, immagini di cardi a grandi dimensioni, cartigli con massime e motti e la figura che più ci interessa: quella dell’homo salvadego.

Tre sono gli aspetti principali che caratterizzano la figura dell’homo salvadego:
- ha una funzione apotropaica (ovvero che sconfigge gli influssi malefici) e per questo è posto a guardia delle porte di case o città;
- nei carnevali, assieme all’orso, all’uomo-albero, all’Arlecchino, viene catturato e ucciso simbolicamente;
- è un eroe culturale ovvero collegato alle culture di riferimento di un territorio. E’ colui che insegna agli uomini le tecniche casearie, dell’apicoltura, dell’estrazione dei metalli, della costruzione di baite.

Riguardo alla prima funzione si trovano diverse raffigurazioni dell’homo selvadego in tutta la provincia di Sondrio. L’affresco meglio conservato si trova a Sacco in Val Gerola nella casa detta dell’homo salvadego: a lato della porta il soggetto a figura intera con il bastone nodoso pronuncia la frase “E sonto un homo salvadego per natura chi me offende ge fo pagura”. Dall’altro lato della porta un angelo arciere con un cartiglio recante la scritta “E sonto uno senza malizia de peccati”, si dichiara in pratica libero da colpe. L’homo salvadego dovrebbe rappresentare la natura, l’angelo la cultura. Immagini del salvadego ne abbiamo anche sulla Porta poschiavina di Tirano, nel blasone dei Grigioni dove è stato aggiunto allo stemma delle Dieci giurisdizioni e all’ingresso della casa dell’Arlecchino in Val Brembana.

Per il secondo aspetto il salvadego è riconducibile ad altri personaggi del carnevale come l’orso e l’Arlecchino. Personaggi che vengono catturati, fatti danzare e simbolicamente eliminati per rappresentare che la cultura ha vinto sulla natura.

L’aspetto più interessante è però quello di eroe culturale. L’homo selvadego insegna agli uomini come produrre il formaggio e gli altri latticini, ed è maestro delle tecniche dell’apicoltura, dell’estrazione dei metalli, della costruzione di baite. E’ invero collegato alle culture di riferimento di un territorio, propone agli uomini il suo sapere ma poi si allontana dai villaggi e dai paesi, a volte perché umiliato o deriso.

Il nostro homo selvadego può essere paragonato ad altri esseri antropomorfi come lo Yeti himalayano (l’abominevole uomo delle nevi) e il Bigfoot americano, a figure classiche come quella di Ercole e a santi come sant’Onofrio, anacoreta, e San Cristoforo, per la statura gigantesca.

Mi sono appassionato alla figura del selvadego dove aver scritto in merito un capitolo apparso sul volume “Carnevali e folclore delle Alpi” Ista 2011 e recentemente ho fatto realizzare la mia personale interpretazione al mito dell’homo selvadego: un bastone nodoso con incisa la scritta “E sonto un homo selvadego per natura chi me offende ge fo pagura”.

Realizzazione bastone: Bruno Facetti (associazione valtellinese intagliatori) per l’incisione e Franco De Palo per il fondo di contrasto
Fotografie: Rino Carraro e Alessio Strambini

Post correlati